Infiammazione del Tendine d’Achille

L’importanza del piano terapeutico

Massimo Drommi_ infiammazione Tendine d’Achille_Chirurgo del piede

Infiammazione tendine d’Achille: cosa c’è da sapere

Il tendine d’Achille è il tendine più grande del nostro organismo ma anche quello che sopporta il maggior lavoro meccanico.

Per questo è soggetto a sollecitazioni continue che, nel caso degli sportivi, possono creare sovraccarichi in grado di provocare microlesioni delle fibre tendinee.

La riparazione anomala di queste lesioni può provocare un sovvertimento strutturale del tendine con una iperproduzione di tessuto anomalo e una neo-vascolarizzazione, che costituiscono la causa del caratteristico rigonfiamento nodulare e fusiforme tipico della tendinopatia Achillea non inserzionale, presente a livello del ventre tendineo.

Diversa è la patogenesi di quella che invece chiamiamo tendinopatia inserzionale del tendine d’Achille, in cui la sofferenza del tendine è legata soprattutto al conflitto contro le irregolarità della superficie scheletrica del calcagno, specie quando la sua forma è prominente come nel caso del morbo di Haglund, o a squilibri metabolici, come nel diabete e nella sindrome metabolica, causa di microlesioni vascolari del tendine.

Per avere successo nella cura della tendinopatia dell’Achille, è pertanto fondamentale  identificare la causa esatta che l’ha determinata e valutarne l’entità mediante esami strumentali come l’ecografia e la risonanza magnetica, che ci mostreranno la quantità e il tipo di tessuto patologico presente.

Infiammazione Tendine d’Achille: il piano terapeutico

Una volta acquisite tali informazioni, correlandole al periodo d’insorgenza dei sintomi e all’attività e alle caratteristiche del soggetto affetto, si potrà iniziare a pianificare la cura mediante una vera e propria strategia terapeutica da personalizzare per ciascun individuo affetto.

Tale piano terapeutico, concordato tra medico e paziente, terrà conto della gravità della situazione e sarà costituito da una serie di step progressivi, che inizieranno dalle cure meno invasive – ma non per questo meno efficaci –, fino  ad arrivare ad azioni chirurgiche più incisive, a seconda della risposta terapeutica e della gravità della lesione degenerativa presente.

Trattamento Tendine d’Achille: la fase iniziale

Si partirà da uno step iniziale che prevede l’analisi delle condizioni cliniche e soprattutto dell’attività svolta dal paziente, per identificare le cause che hanno condotto alla sofferenza del tendine d’Achille.

Se trattasi di sportivi, infatti, sia a livello agonistico che amatoriale, verranno analizzati tutti i parametri della corsa e dei vari gesti atletici per individuare eventuali alterazioni biomeccaniche.

Nei runners, ad esempio, si porrà attenzione sull’eventuale overstriding,

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o all’eccessiva oscillazione verticale durante il tempo di galleggiamento, e all’angolo e al tipo di contatto del piede contro il suolo, (rearfoot o forefoot strike) per poi andare ad agire, autonomamente o mediante un preparatore atletico, modificando modalità, tempi e frequenza delle sedute di allenamento.

Particolare attenzione verrà posta a eventuali difetti di iperpronazione o ipersupinazione del piede. È stato dimostrato, ad esempio, che all’iperpronazione è legato un minor flusso vascolare all’interno del tendine d’Achille, e sarà pertanto necessario contrastarla progettando delle ortesi specifiche o ricorrendo a calzature antipronazione.

In tale fase verrà spiegato al paziente un programma di esercizi eccentrici che dovrà seguire costantemente. Lo scopo di questi esercizi è, oltre che di rafforzare il tendine d’Achille, di ischemizzare i neovasi che irrorano il tessuto patologico. Dopo 6 settimane di tale attività si assiste infatti nel 70% dei casi al miglioramento della sintomatologia dolorosa e alla riduzione dello spessore dell’ipertrofia tendinea.

Inoltre, se presenti segni di infiammazione tendinea o paratendinea, per far sì che questa regredisca si ricorrerà a ghiaccio, riposo, creme specifiche e farmaci.

Trattamento Tendine d’Achille: la fase intermedia

Quando la componente degenerativa è prevalente rispetto a quella infiammatoria, cosa frequente quando la tendinopatia Achillea è cronica, si dovrà intraprendere la fase intermedia, quella infiltrativa.

Quando infatti la patologia è insorta da anni, sarà presente un aumento di volume del tendine d’Achille con consistente tessuto patologico solido ben vascolarizzato.

Si dovrà allora ricorrere a una procedura avanzata ma praticabile a livello ambulatoriale. Si tratta dell’idrolisi mediante HVI, ovvero High Volume Injection,  procedura semplice, da eseguire in studio e assolutamente indolore per il paziente.

L’HVI consiste nell’infiltrazione di una quantità abbondante di soluzione salina e anestetico che, sotto guida ecografica, va iniettata nello spazio tra il ventre anteriore del tendine e il peritenonio, in modo da scollare le aderenze presenti e soprattutto comprimere contemporaneamente i neovasi presenti a questo livello, in modo da interrompere la vascolarizzazione del tessuto patologico responsabile del dolore e della progressiva tumefazione del tendine d’Achille.

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La procedura deve essere ripetuta solitamente per due volte a distanza di un mese e lavorare in sinergia con gli esercizi eccentrici, anch’essi responsabili della compressione ischemica della vascolarizzazione.

Tale procedimento può essere potenziato eseguendo insieme – quando il caso lo richieda – un’infiltrazione intratendinea di gel piastrinico, PRP o ancora meglio di grasso processato prelevato dall’addome del paziente con una piccola cannula, e quindi ricco di cellule staminali, per sfruttare la sua azione riparativa, rigenerativa e antinfiammatoria, particolarmente indicato in presenza di ampie lacune di degenerazione mucoide del tendine.

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Non solo nella nostra esperienza ma anche in numerosi studi pubblicati si osservano a seguito di tale procedura una riduzione del dolore e un miglioramento del livello di attività, oltre a una significativa riduzione dello spessore patologico del tendine e della vascolarizzazione intratendinea.

Per questo al momento tale procedimento rappresenta per noi il golden standard nel trattamento incruento delle tendinopatie d’Achille.

Trattamento Tendine d’Achille: la fase chirurgica

Lo step terapeutico successivo è costituito dalla fase chirurgica, in particolare la chirurgia mininvasiva.

Il nostro trattamento di elezione consiste nel praticare contemporaneamente due procedure percutanee particolarmente efficaci e scarsamente invasive, tanto da poter essere abbinate.

La prima è la micro tenotomia, che consiste nell’effettuare attraverso la cute delle incisioni longitudinali nel tendine, in modo da ravvivare il tessuto patologico, e in ogni trincea iniettare del plasma arricchito di piastrine (PRP) – preparato dal sangue del paziente– o del grasso processato, in modo da favorire i processi riparativi intratendinei.

La seconda è lo stripping del tendine d’Achille tecnica messa a punto dal professor Maffulli, che consiste nell’interruzione della connessione vascolare e delle aderenze, semplicemente facendo passare un filo dietro al ventre del tendine e facendolo scorrere a mo’ di sega verso il basso, manovrandolo con le estremità distali in modo alternato.

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Queste due procedure sono velocissime e assolutamente indolori, e vengono eseguite per via percutanea, consentendo una ripresa della deambulazione dopo una settimana e dopo un mese dell’attività sportiva.

Nei casi più gravi in cui sia presente una massiva degenerazione mucoide del tendine che compromette la sua funzionalità, bisognerà ricorrere alla chirurgia a cielo aperto.

Se possibile, la limiteremo alla escissione del tessuto patologico e alla sutura di quello sano, spesso associando un innesto di grasso addominale processato per sfruttare la presenza di cellule staminali e la loro capacità di rigenerazione tissutale.

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Quando ciò non è possibile, solo nei casi più severi e avanzati sarà necessario procedere a una plastica a VY o a un trapianto tendineo usando il flessore lungo delle dita o il semitendinoso, che rappresenta lo step più avanzato e finale della programmazione terapeutica, alla quale fortunatamente per il paziente si ricorre raramente.

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