
FASCITE PLANTARE: CONSIGLI PER GLI AMANTI DELLA CORSA
In questo articolo, dedicato al mondo dei runner, analizzeremo la relazione tra corsa e fascite plantare, prendendo in esame i fattori che comportano un aumento degli stress meccanici sulle diverse strutture del piede.
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- 1 FASCITE PLANTARE: CONSIGLI PER GLI AMANTI DELLA CORSA
Un recente studio ha analizzato biomeccanicamente le immagini della corsa di 25 runner affetti da fascite plantare che praticano la corsa a livello amatoriale, rapportandole con quelle di 25 sportivi della stessa età che non hanno mai lamentato problemi simili.
Da tale confronto è risultato che durante la corsa tutti i pazienti affetti da fascite plantare avevano un angolo di inclinazione del piede – formato dall’asse longitudinale della suola della scarpa con l’asse del suolo – e un’escursione articolare in dorsiflessione della caviglia superiori al gruppo di riferimento.
Cosa influenza l’angolo di impatto del piede al suolo?
In molti podisti tale atteggiamento è legato al fenomeno dell’overstriding, un particolare modo di correre in cui l’atleta fa cadere il passo anteriormente alla linea del proprio baricentro, costringendo così il ginocchio a estendersi e la caviglia a flettersi dorsalmente per atterrare sul tallone (heelstrike).
Pertanto il ginocchio, che risulta esteso al momento dell’atterraggio, oltre a subire un trauma non è in grado di ammortizzare la reazione del suolo contro il tallone flettendosi.
L’entità dell’impatto del tallone al suolo è influenzata anche dall’oscillazione verticale del baricentro e quindi da un aumentato tempo di galleggiamento in aria dell’atleta.
Più questa oscillazione è ampia e più il carico e la forza verticale di reazione del suolo aumentano, così come il tempo di contatto del piede con il terreno.
In tal modo le possibilità di creare traumi o microtraumi alla fascia plantare e al tendine d’Achille aumentano considerevolmente.
Più questa oscillazione è ampia e più il carico e la forza verticale di reazione del suolo aumentano, così come il tempo di contatto del piede con il terreno.
In tal modo le possibilità di creare traumi o microtraumi alla fascia plantare e al tendine d’Achille aumentano considerevolmente.
Qual è il ruolo della cadenza?
La cadenza ha un ruolo fondamentale nell’influenzare tali fattori.
Più questa è alta tanto minore sarà:
- l’angolo di incidenza;
- il tempo di permanenza del piede al suolo;
- la dorsiflessione della caviglia.
Inoltre, una cadenza elevata implica una maggiore flessione del ginocchio e l’inclinazione del busto in avanti, atteggiamento posturale che ammortizza meglio le forze di reazione del suolo, diminuendo i carichi sul piede.
Qual è la cadenza ideale?
Una cadenza ottimale è stata stimata intorno alle 180 falcate al minuto. Un buon consiglio per chi soffre di problemi legati alla corsa è quello di misurare la propria cadenza e di aumentarla del 10% in modo da migliorare tutti i parametri di cui abbiamo precedentemente discusso.
Come posso regolare la cadenza?
Per far ciò può risultare molto utile ascoltare musica durante l’allenamento.
Su Spotify, ad esempio, potremmo trovare i ritmi musicali con BPM specifici, in modo da poter abbinare la frequenza della falcata al ritmo musicale.
Quali sono i diversi modi di impatto con il suolo?
Un discorso a parte merita il diverso modo del piede di prendere contatto con il suolo. Questo può avvenire:
- con il tallone, heel strike, come nella maggior parte dei mezzofondisti;
- con il mesopiede, midfoot strike;
- con l’avampiede, forefoot strike, tipico dei velocisti, e dei corridori a piede nudo.
Esistono molti studi e molte opinioni riguardo a quale tra questi sia il migliore, legato cioè a una minor incidenza di patologie e infortuni.
Sicuramente l’impatto di tallone è meno ammortizzato rispetto a quello sull’avampiede, che può sfruttare la reazione elastica della fascia plantare e del tendine d’Achille, ed è quindi più soggetto a possibili microtraumi della fascia a livello della sua inserzione.
In verità il punto in cui il piede tocca il suolo è molto più importante di come lo tocca.
Questo deve essere il più possibile vicino al corpo, in tal modo anche un “tallonatore” sarà costretto a diminuire l’angolo di inclinazione al suolo del piede, flettendo il ginocchio in modo da ammortizzare la forza d’impatto.
Qual è la scarpa più idonea per correre?
In genere potremmo pensare che una scarpa più ammortizzata e con un drop alto, cioè la differenza tra l’altezza del tacco e la suola, detenda la fascia plantare e ammortizzi meglio, assorbendole, le forze di reazione al suolo.
In verità un eccesso di gomma tra il piede e il suolo crea maggior instabilità e l’eccessiva oscillazione del piede è dimostrata essere tra le peggiori cause di overstress e microtraumi, con comparsa secondaria di sofferenza della fascia plantare.
Inoltre una suola eccessivamente ammortizzata crea ipotono dei muscoli intrinseci del piede, che non supportano più come dovrebbero la fascia plantare contro gli stress meccanici.
Infine, biomeccanicamente un drop eccessivo causa la tendenza a sfruttare troppo l’impatto con il tallone, tendendo ad arretrare il baricentro dello sportivo e ad avanzare il punto di contatto con il suolo.
Ecco allora che la scelta verso una calzatura più minimalista può rappresentare una possibilità terapeutica in caso di dolore della fascia plantare.
In generale, comunque, utilizzare almeno tre paia di scarpe per alternare le sollecitazioni meccaniche sulle diverse strutture del piede e della caviglia ci sembra il consiglio più appropriato.
Conclusioni: fascite plantare e corsa
Pertanto, se siete dei runner affetti da fascite plantare:
- modificate e alternate le vostre scarpe scegliendo modelli più minimalisti diminuendo il drop almeno intorno ai 6mm;
- aumentate la vostra cadenza in modo da far cadere il piede il più vicino possibile al corpo;
- inclinate leggermente in avanti il busto;
- flettete almeno a 45 gradi il ginocchio;
- riducete il tempo di contatto del piede a terra atterrando nel modo più fluido e morbido possibile.
Cambiare radicalmente il modo di appoggiare il piede potrebbe provocare infatti un eccessivo dispendio di forze che si dimostra controproducente nell’economia della corsa, la quale deve svolgersi invece con il minor stress muscolo scheletrico e al minor costo metabolico possibile.